Taglio alle “pensioni d’oro”: l’analisi di Alberto Brambilla

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“Se fossimo un Paese normale, le dichiarazioni del Ministro del Lavoro sulle pensioni di importo oltre i 100mila euro lordi (55mila netti, una bella differenza) dovrebbero essere perseguite come “false comunicazioni”, con l’aggravante dell’istigazione all’odio di classe; infatti, il Ministro insiste sul verbo “ricalcolare” quando è ormai noto a tutti che il ricalcolo è pressoché impossibile”, ha dichiarato Alberto Brambilla, presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

” Non contento, definisce i pensionati “nababbi”, “d’oro”, che hanno prestazioni superiori ai contributi versati, mentre ci sono pensioni basse. Ora, che ci siano più di 8 milioni di pensionati su 16 milioni con prestazioni tra i 400 e i 750 euro (pensioni sociali e pensioni di invalidità con indennità di accompagnamento) è vero, ma lo è altrettanto il fatto che, proprio perché totalmente o parzialmente assistiti dallo Stato, significa i beneficiari di queste prestazioni che di imposte e contributi ne hanno pagate pochi nell’arco della propria vita lavorativa, e sono stati dunque per 65 anni a carico della società che, giunti all’età della pensione, provvede ancora al loro mantenimento.

Le perplessità sul metodo applicato

Secondo Brambilla: “Non solo viene effettuato il ricalcolo, ma si aggiungono anche – per far lievitare il reddito oltre i 100.000 euro (e la relativa platea di pensionati) – addirittura le pensioni totalmente o parzialmente contributive. Infatti, anche sul metodo applicato per il “taglio” esposto nella circolare n. 62/2019 dell’INPS, emergono molte perplessità”. 

Ma i problemi insiti in questo “falso” ricalcolo non finiscono qui. Oltre all’uso delle prestazioni derivanti dalla Gestione Separata ai fini della determinazione dell’importo sul quale calcolare il taglio, ci sono molte altre distorsioni: ci può essere la possibilità che il pensionato sia in tale status dal 2018 e che quindi abbia avuto un calcolo contributivo pro rata dal 2012 (introdotto dalla Fornero), pertanto, i quasi sette anni – un quinto di vita pensionistica – sarebbero già calcolati a contributivo e, quindi, dovrebbero essere scorporati dall’importo della pensione retributiva, ha precisato il presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali.

“Ci sono gravi errori tecnici ed etici”

Brambilla ha aggiunto: “: Si pensi a tutte le pensioni frutto di ricongiunzioni onerose, pagate o in pagamento dai beneficiari oppure a tutte le contribuzioni volontarie o ai riscatti di laurea e specializzazioni (per i medici possono essere fino a 10 anni, di cui 6 di laurea e 4 di specializzazione, pagati a proprio carico); la parte di pensione derivante da queste contribuzioni non può essere sottoposta al taglio.

Ci sono poi quelli che sono andati in pensione con più di 40 anni di anzianità contributiva che, nel retributivo, costavano fior di contributi (33mila euro su 100mila euro di reddito), ma non davano luogo ad alcuna prestazione; o quelli che sono andati in pensioni a 71 o più anni, come i magistrati, e che il calcolo contributivo dovrebbero premiare con un aumento della pensione, e non con un taglio”.

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