Pensioni, nella manovra un doppio bonus

Pensioni, le date dei pagamenti di settembre 2021

La prima manovra del governo Meloni contiene un doppio bonus pensioni. Gli assegni minimi (523,38 euro) saliranno del 20% in riguardo alla rivalutazione piena del 7,3% prevista dal decreto già firmato dal ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, garantendo un aumento ulteriore degli importi di almeno 104 euro l’anno. Al tempo stesso, chi deciderà di rinviare l’uscita pur avendo maturato i requisiti per il pensionamento vedrà crescere ogni mese la busta paga di almeno il 9,19%.

Secondo il sito del Sole 24 Ore, il disegno di legge di bilancio varato dal governo avvia un percorso pluriennale che, nelle intenzioni della maggioranza, entro la fine della legislatura dovrebbe approssimare gli importi delle pensioni più basse a mille euro al mese. A spingere per dare un primo segnale già con questa manovra è stata soprattutto Forza Italia. E dopo un lungo confronto è stata trovata l’intesa su un ritocco, anche se minimo, dei trattamenti al minimo.

L’aumento delle “minime”!

In effetti le pensioni minime a partire dal mese gennaio 2023 beneficeranno di un’indicizzazione del 120%: il 20% in più di quella “piena” del 7,3% già fissata per il prossimo anno dal ministero dell’Economia. In questo modo gli assegni saliranno di circa 45 euro al mese rispetto ai 523,38 dell’attuale livello minimo (senza contare gli effetti dell’anticipo del 2% della rivalutazione erogato a partire dal mese di novembre di quest’anno fino alla fine del 2022, tredicesima compresa). Scorporato l’adeguamento che sarebbe comunque scattato con la perequazione del 100%, l’ulteriore crescita dell’assegno è di 8 euro al mese. Che si traduce in un bonus di 104 euro l’anno, sempre partendo dal livello minimo del 2022.

Premio di quasi il 10% per chi rinvia l’uscita!

Il governo Meloni ha ripescato il cosiddetto bonus Maroni. Si tratta di una decontribuzione del 10% per chi decide di rinviare l’uscita dal lavoro una volta raggiunti i requisiti per il pensionamento. Nel caso dei lavoratori dipendenti lo stipendio dovrebbe crescere di una quota pari a quella dei contributi a suo carico (9,19%) che non verrebbero più versati: la pensione dovrebbe infatti rimanere quella maturata al momento del raggiungimento dei requisiti per l’uscita.

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