Pensioni, lo stato dell’opera: in vista Quota 41?

quota41-min

La riforma delle pensioni è ancora in alto mare. L’ipotesi di arrivare a una sintesi entro la fine di aprile è decisamente tramontata. Come spiega il sito Today.it, il Governo deve mantenere l’attenzione sulle riforme strutturali, con particolare riguardo “all’assetto del sistema pensionistico per il quale, nel pieno rispetto dell’equilibrio dei conti pubblici, della sostenibilità del debito e dell’impianto contributivo del sistema, occorrerà trovare soluzioni che consentano forme di flessibilità in uscita ed un rafforzamento della previdenza complementare“. Così ha detto il ministro dell’Economia, Daniele Franco, nell’introduzione al Def. E ancora: “Occorrerà, altresì, approfondire le prospettive pensionistiche delle giovani generazioni“.

In altri termini nessun cenno concreto alla riforma delle pensioni è presente nel Documento di Economia e Finanza (DEF) approvato negli scorsi giorni dal governo Draghi. Il Def approvato dal governo ignora possibili correttivi alla legge Fornero, che tornerebbe in vigore così com’è dal gennaio 2023, che potrebbero però essere affrontati dopo Pasqua nel tavolo in programma con le parti sociali. Le ipotesi concrete non mancano di certo.

Anzitutto, dal 1 gennaio 2023 Quota 102 non dovrebbe essere rinnovata. La riforma delle pensioni partirà, nelle intenzioni dei sindacati e dell’esecutivo, sulla base di un nuovo “sistema” per lasciare il lavoro superando la legge Fornero. Il Governo propone una piccola penale, un piccolo taglio sull’assegno in cambio di uno sconto sull’età pensionabile. Ma i sindacati per ora non si esprimono.

La proposta di Quota 41!

Queste le loro richieste: estensione della flessibilità a partire dai 62 anni o con 41 di contributi a prescindere dall’età, permettendo ai lavoratori di poter scegliere quando andare in pensione senza penalizzazioni per chi ha iniziato a versare prima del 1996. Tra le ipotesi anche la modifica del meccanismo di adeguamento alla speranza di vita. Cgil, Cisl e Uil puntano su condizioni più favorevoli e strutturali per l’accesso alla pensione delle categorie più deboli, come gli usuranti che rientrano nell’Ape sociale, che potrebbe essere ampliata, diventando quasi strutturale. Le indiscrezioni portano davvero a una riforma con i “64 anni” anagrafici al centro.

C’è sempre anche il piano Tridico, che “resiste” sempre in pole position tra le varie opzioni che circolano in vista della riforma. Il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, ha ripetutamente rilanciato la proposta di erogare a chi lascia il lavoro a 64 anni solo la parte contributiva dell’assegno maturata fino a quel momento, per poi pagare la quota retributiva della pensione una volta raggiunti i 67 anni (il requisito di età fissato dalla Fornero). Il punto forte di questo piano è la sostenibilità per le casse dello Stato.

Secondo Tridico questo tipo di anticipo costerebbe infatti 400 milioni di euro l’anno. Una spesa molto inferiore rispetto ad esempio ai 10 miliardi di “Quota 41”. A livello generale, il piano delle due quote di Tridico introduce un principio di equità sul quale si potrebbe trovare una convergenza, proprio perché non prevede penalizzazioni una volta compiuti i 67 anni, ma una riduzione per i soli primi due o tre anni di pensione.

RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright Diritto.news

Informazioni sull'autore