Pensioni anticipate, Quota 100: l’analisi di Giuliano Cazzola

Riforma pensioni: le proposte di Itinerari Previdenziali

Nel corso dell’audizione in Commissione lavoro al Senato, nell’ambito della conversione in legge del decreto 28 gennaio 2019, n.4, l’esperto di previdenza Giuliano Cazzola, ha manifestato preoccupazione per la sostenibilità dei conti pubblici a causa dell’introduzione di Quota 100, nuovo dispositivo per le pensioni anticipate.

“Tutte le riforme hanno preso di mira l’età pensionabile per adeguarla all’attesa di vita e per diminuire
il numero di trattamenti e la loro durata. Nell’arco temporale degli ultimi 40 anni, un 65enne ha visto crescere la propria speranza di vita residua di circa 5-6 anni e un 80enne di 3 anni; e  il prolungamento della durata media della vita degli italiani ha interessato – sostiene ‘’Itinerari previdenziali’’ – quasi in ugual misura tutto il territorio nazionale, da Nord a Sud. Di qui la necessità di un riproporzionamento o quanto meno di controllo della spesa pensionistica, in conseguenza delle crisi fiscali, finanziarie, economiche e occupazionali degli Stati, a fronte di un radicale cambiamento nei rapporti tra la popolazione attiva e quella che non lo è più”, ha dichiarato l’economista.

L’analisi di Cazzola

“Una pensione mensile di 1000 euro “costa” 100 euro a testa a 10 lavoratori contribuenti. Se, invece,
per effetto delle trasformazioni demografiche, dell’invecchiamento della popolazione, del
prolungamento dell’attesa di vita e delle modifiche del mercato del lavoro, ad ogni lavoratore attivo
corrisponde (come accade ora) più o meno un trattamento pensionistico, restano soltanto due
alternative: o il singolo contribuente si prende carico dei mille euro mensili  oppure la pensione si riduce ad un decimo del suo valore. Naturalmente, la soluzione adottata è stata sostanzialmente la prima, in larga misura a debito, con costi sempre crescenti proiettati nel futuro“, ha dichiarato Cazzola in audizione.

Spesa previdenziale 

“Negli anni del nuovo secolo vi è stato un incremento di circa 89 miliardi dei quali ben 60 miliardi addebitabili ai maggiori oneri per gli assegni di anzianità, mentre è di 14 miliardi il contributo alla crescita dovuto alla vecchiaia (la parte residua riguarda le altre tipologie). L’incidenza della spesa pensionistica per i soggetti in età compresa tra 55 e 64 anni è in Italia di poco inferiore al 4% del Pil (contro il 2,2% della media europea). L’impatto sul debito pubblico del pensionamento di anzianità negli anni 2000 può essere valutato in circa 30 punti di maggiore indebitamento rispetto al Pil nel 2012 (quando entrò in vigore la riforma Fornero)”, ha precisato Cazzola .

“Proiettando la spesa complessiva (come saldo tra oneri e risparmi) di tutte le misure di carattere previdenziale lungo un decennio (2019-2028) le cose si aggravano fino a raggiungere una maggiore spesa cumulata di oltre 48 miliardi, che corrispondono a più della metà dei risparmi attribuiti nel primo decennio di applicazione alla riforma Fornero. Sono tre punti di Pil che il sistema caricherà sulle spalle dei futuri contribuenti. Ciò significa che sarà messa in discussione la sostenibilità garantita dall’intervento del 2011 e che sarà pregiudicato il ‘’rientro’’, nel medio periodo, al di sotto del 14% dell’incidenza della spesa sul Pil”, ha chiarito.

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