La Corte Europea accusa:” L’Italia è complice della Libia che viola i diritti”

La Corte Europea accusa: l'Italia è complice della Libia che viola diritti

Migranti, le ultimissime novità. Una denuncia contro l’Italia alla Corte europea per i diritti dell’uomo (Cedu) è stata presentata da 17 migranti, tutti nigeriani, sopravvissuti al naufragio nel Mediterraneo del 6 novembre 2017 di un gommone che portava tra 130 e 150 persone. L’accusa al governo italiano è di essere corresponsabile delle gravi violazioni messe in atto nelle azioni delle navi italiane e libiche che, in questo caso, hanno portato al respingimento dei migranti in Libia.

Diversi dei 47 migranti recuperati dai libici hanno raccontato di essere stati rinchiusi per un mese in condizioni di sovraffollamento, con poco cibo e e acqua, picchiati tre o quattro volte a settimana con corde e tubi. Due sono stati rivenduti a una banda che li ha torturati con l’elettrochoc per ottenere un riscatto dai familiari.

L’Italia corresponsabile con la Libia: complice nel violare diritti umani nelle operazioni di salvataggio.

Tutta l’operazione è stata ripresa dalle telecamere della Ong Sea Watch che ha tratto in salvo 59 persone. Prima e durante l’operazione di soccorso sono morte tra le 20 e le 40 persone. Le immagini mostrano la noncuranza dei libici di fronte ai migranti aggrappati al gommone sgonfio o semisommersi dalle onde.

La guarda costiera libica, che operava con una delle quattro imbarcazioni consegnate dal Viminale il 15 maggio 2017, non cala il gommone, non lancia salvagenti, non scende in mare ma si limita a porgere una scaletta a chi riesce a salire e poi lancia oggetti contro i gommoni di Sea Watch. Infine riparte anche se un elicottero italiano avvisa via radio numerose volte che un migrante è fuoribordo appeso alla scaletta. Diverse persone scompaiono durante le operazioni di due gommoni. Assiste a tutto la nave miliare francese l’Her.

A offrire supporto legale al ricorso dei migranti alla Cedu sono stati Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) e dalla Global Legal Action Network, con il supporto di Arci e della Yale Law School’s Lowenstein International Human Rights Clinic. Le organizzazioni hanno presentato l’iniziativa alla Sala Stampa Estera Tra i 17 ricorrenti ci sono anche i genitori di due bambini affogati durante il naufragio.

L’intervento del 6 novembre 2017 è stato in parte coordinato a distanza dal Centro di coordinamento marittimo della guardia costiera italiana. Dei 17 migranti che hanno presentato il ricorso, 15 sono stati portati in Italia e due in Libia nel carcere di Tajoura, dove sono stati torturati. Hanno poi accettato di partecipare ai programmi libici di cosiddetto rimpatrio volontario e sono stati riportati a Benin City, in Nigeria, loro paese di origine.

L’Italia e l’Unione Europea, con la scelta di equipaggiare e addestrare la guardia costiera libica per attuare per procura le loro politiche di controllo dei confinicondividono le responsabilità per il tragico risultato di queste e di altre intercettazioni in mare. Mentre in Italia le ong di soccorso come Sea Watch sono criminalizzate, le loro presenze in mare rimane fondamentale per soccorrere migranti in difficoltà che sono obbligati a compiere traversate pericolose, ma anche per documentare e controllare le politiche europee di contenimento.

La Commissione europea respinge le accuse e difende l’operato del governo italiano. Dichiara che le navi europee, comprese quelle italiane, agiscono nel pieno rispetto del diritto internazionale, e secondo il principio dei non respingimenti: non riportano mai i migranti in Libia o in altri Paesi terzi. Ogni centro marittimo ha obbligo di coordinare il salvataggio, secondo le convenzioni internazionali ed è ciò che l’Italia sta facendo.

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