Incentivi auto nuove: favorite quelle elettriche, tasse per le diesel, è già polemica

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L’hanno già ribattezzato bonus Tesla, il cui nome deriva dalle auto full electric del funambolico Elon Musk: eleganti, curate, supertecnologiche, ma ancora piuttosto care, difatti la più accessibile oggi costa 92.780 euro. Di mezzi a emissioni zero in commercio ne esistono ormai diversi e di meno esosi, ma si tratta ancora di un mercato per poche tasche.

Uno degli emendamenti alla manovra presentati martedì sera dalla maggioranza in Commissione bilancio prevede un potente sistema di incentivi e disincentivi sui nuovi acquisti. La tabella allegata all’articolo 79 bis della Finanziaria 2019 prevede dodici categorie di mezzi. Il più penalizzato pagherà una tassa da tremila euro per chi emette più di 250 grammi di anidride carbonica a chilometro, all’estremo opposto della tabella ci sarà uno sconto fiscale da seimila per le auto a impatto zero.

Incentivi per auto elettriche e penalizzazioni sugli altri veicoli, i sindacati protestano

Tra le novità della Manovra economica del Governo, approvata in Commissione Bilancio, e che passerà ora al vaglio della Camere, c’è anche un emendamento che prevede incentivi (da un massimo di 6.000 euro a un minimo di 1.500 euro) per chi acquista tra il 2019 e il 2021 un’auto nuova elettrica. Il nuovo sistema di incentivi sulle auto nuove, favorire la transizione verso una mobilità più sostenibile, è definito di ‘bonus-malus’ parametrato quindi alle emissioni di CO2 con una tassa fino a 3.000 euro per le immatricolazioni di auto più inquinanti ed un incentivo che arriva a 6.000 euro per le auto elettriche.

Ci riferiamo tuttavia a un segmento in Italia è ancora microscopico rispetto al totale delle vendite, i disincentivi sono importanti e i prezzi di ibride ed elettriche sono troppo alti. Sembra soprattutto fatta apposta per penalizzare la Fiat, la cui produzione è ancora dominata dai veicoli a scoppio. È per questa ragione che il settore metalmeccanico e il mondo sindacale criticano l’emendamento: dai vertici di Federmeccanica a Fiom, Fim e Uilm.

Che in Italia ci sia bisogno di incentivare l’uso di auto pulite è un fatto innegabile. A settembre di quest’anno quelle in circolazione erano per la stragrande maggioranza diesel (il 48 per cento) e a benzina (38 per cento circa). Circa il sei per cento dei mezzi sono ibridi, altrettanti camminano spinti da gas propano liquido (meglio noto con l’acronimo di gpl), solo l’un per cento viene alimentato con il metano.

Le auto immatricolate ogni mese a trazione completamente elettrica si contano in meno di cinquecento, nemmeno lo 0,4 per cento del mercato. Non è facile far decollare le zero emissioni, per la complessità della tecnologia e dei costi delle infrastrutture necessarie a ricaricare le batterie. Le stime dicono che il segmento inizierà lentamente a decollare: la produzione nel mondo passerà dall’attuale un per cento fino al dieci nel 2020.

Insomma, i tempi non sono ancora maturi per un sistema di disincentivi così forte e obiettivamente sbilanciati sui produttori esteri. Secondo i calcoli del segretario Fim Ferdinando Uliano la norma penalizzerà il novanta per cento dei mezzi realizzati in Italia, tutti posizionata nella fascia superiore ai novanta grammi per chilometri di anidride carbonica.

«Se prendiamo ad esempio il modello più venduto in Italia – spiega l’Anfia – la Panda 1.2 prodotta a Pomigliano, tra le vetture non ibride con le più basse emissioni di CO2, con il nuovo sistema si pagherà un’imposta che varia dai 400 ai 1.000 euro». Sarà invece una manna per chi nei listini ha una gamma consolidata di elettriche o ibride. Dalla già citata Tesla, che a febbraio inizierà a vendere in Europa la nuova «Model 3» a Renault, Toyota, Nissan. Fra i tanti, auto elettriche e ibride si trovano nei listini di Bmw, Volskwagen, Peugeot, Citroen ed Opel.

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