Giustizia penale, troppe archiviazioni e assoluzioni

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Troppe volte la giustizia penale gira a vuoto. Come riporta il sito del Sole 24 Ore, quasi il 64% dei procedimenti che escono dalle Procure dopo la fine delle indagini preliminari non va a giudizio ma viene archiviato. Si tratta di quasi 430.000 fascicoli, standoa i dati forniti dal primo presidente della Cassazione, Pietro Curzio, durante l’inaugurazione del nuovo anno giudiziario.

Una spia di malessere, soprattutto se letta insieme alla percentuale di assoluzioni in primo grado, pari a quella delle condanne (46%), o superiore per i reati considerati “minori”– come furti, spaccio, risse, truffe – molto diffusi, tuttavia, e di grande impatto sulla vita delle persone e sulla loro percezione dell’efficienza del sistema giudiziario.

Su questa la situazione interverranno le misure della riforma del processo penale, contenuta nella legge delega 134/2021, alla cui attuazione stanno lavorando i gruppi di esperti nominati dalla guardasigilli Marta Cartabia.
Superano il milione l’anno i procedimenti iscritti nelle Procure e altrettanti sono avviati in Tribunale, ma la grande maggioranza rischia di “inutilmente” impegnare gli uffici e gravare su chi è sottoposto a processo.

430.000 decreti di archiviazione!

Nel frattempo, per una porzione importante delle notizie di reato, il pubblico ministero chiede l’archiviazione, e la richiesta viene di solito accolta: nell’ultimo anno giudiziario (2020-2021) sono stati quasi 430.000 i decreti di archiviazione emessi dal’ufficio Gip/Gup (giudice per le indagini preliminari e giudice per l’udienza preliminare), a fronte di 81.000 rinvii al giudice del dibattimento.

Quanto ai procedimenti che vanno a dibattimento, è alta la percentuale di assoluzioni, soprattutto, come ha sottolineato Curzio, per «i reati più diffusi e che di regola toccano più da vicino il cittadino». Questi vengono in gran parte definiti con la citazione diretta a giudizio, che interessa i reati “minori”, puniti con la reclusione fino a quattro anni, e viene disposta dal Pm, senza passare dal vaglio del giudice. La riforma Cartabia punta a cambiare la situazione, ampliando l’applicazione e inserendo un’udienza predibattimentale.

Nell’ultimo anno giudiziario, il 54,8% dei processi definiti nel giudizio ordinario (nella stragrande maggioranza dei casi introdotti con citazione diretta) si è concluso con un’assoluzione. Ancor più elevata la quota di assoluzioni – il 68,7% – che riguarda i giudizi di opposizione a decreto penale di condanna (utilizzabile se la pena è solo pecuniaria). Dati che, scrive Curzio, «dovrebbero indurre una più ampia riflessione sull’efficienza del sistema di definizione delle cause “minori” che attualmente fa leva sulla citazione diretta a giudizio e sul decreto penale di condanna».

Nell’insieme contenuto, in rapporto ai numeri totali, l’impatto della prescrizione: nel 2020 sono stati 31.616 i decreti di archiviazione per prescrizione del Gip (8,1% dei definiti) e 30.538 le sentenze di prescrizione del Tribunale (6,9% dei definiti). Le ragioni dell’alto numero di archiviazioni sono molteplici. In primo luogo il gran numero di notizie di reato «le denunce infondate sono moltissime, ma il Pm deve sempre aprire un procedimento perché l’azione penale è obbligatoria», dice il presidente della Corte d’appello di Napoli, Giuseppe De Carolis di Prossedi. Più preoccupante, secondo di Prossedi, è il dato sulle assoluzioni che «se arriva al 40-50% vuol dire che il Pm ha esercitato l’azione penale senza elementi certi di colpevolezza. Ma è anche un effetto del sistema accusatorio in cui la prova si forma in dibattimento, nel contraddittorio fra le parti».

Dello stesso tipo l’analisi di Claudio Castelli, presidente della Corte d’appello di Brescia: «L’alto numero di archiviazioni è fisiologico. Il penale risente inoltre delle difficoltà del civile. Visti i tempi e i costi, per le small claims non conviene fare causa e allora si prova con la denuncia». «Sono le assoluzioni nei giudizi a citazione diretta il vero problema. Ma se al dibattimento si va dopo 3-4 anni dalle indagini tutte le prove dichiarative vanno perse». La strada da percorrere, secondo Castelli, sarebbe quella di «un largo ricorso alle pene pecuniarie (o ai lavori di pubblica utilità) e a sistemi di deflazione di carattere riparativo sotto il controllo giudiziario come succede per le contravvenzioni sulla sicurezza del lavoro».

Il problema, secondo il presidente dell’Unione delle Camere penali, Gian Domenico Caiazza, è che «si aprono troppi fascicoli e il sistema non è in grado di smaltirli. Si dovrebbe superare l’obbligatorietà dell’azione penale, che oggi impedisce di selezionare le notizie di reato, e introdurre la discrezionalità del suo esercizio».

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