Economia e lavoro: segnali di allarme giungono dai dati Istat

Economia e lavoro: segnali di allarme giungono dai dati Istat

Mentre la crisi di governo pare avviarsi a soluzione con la formazione di una nuova maggioranza parlamentare, dal settore economico e dal mercato del lavoro giungono dati allarmanti, che attendono con un urgenza di essere affrontati, non appena si formerà un nuovo esecutivo. I dati Istat relativi al mese di luglio segnalano infatti, dopo cinque mesi di crescita continua, i primi segni di una riduzione dell’impiego, soprattutto nel settore del lavoro dipendente; contestualmente si assiste a una contrazione del fatturato e degli ordinativi dell’industria, conseguenza evidente di una crescita economica sostanzialmente stagnante.

I dati della produzione: male ordinativi e fatturato.

Il volume di affari dell’industria italiana segna una riduzione dello 0,5 rispetto al mese precedente (0,8 in meno rispetto a giugno 2018), principalmente nei comparti dell’energia e dell’industria automobilistica, dovuta a una flessione del mercato interno, non bilanciata dalla crescita delle esportazioni. Secondo l’Istat, si tratta della flessione tendenziale più grave dal luglio del 2016.

Le conseguenze della crisi sull’occupazione.

Sono 18.000 i posti in meno rispetto al giugno 2019, mentre il tasso di disoccupazione si riavvicina sensibilmente alla soglia psicologica del 10%, attestandosi sul 9,9% della popolazione attiva (pari a oltre due milioni e mezzo di persone), malgrado il saldo risulti ancora attivo rispetto allo stesso periodo del 2018. Se si prende in considerazione la fascia giovanile, la percentuale dei disoccupati è addirittura vicina a un terzo del campione (28,9%). In conseguenza delle difficoltà delle imprese, aumentano le ore di cassa integrazione ordinaria (8,8 milioni) e straordinaria (10 milioni), con un aumento medio del 9% rispetto al mese precedente, soprattutto nei settori dell’industria e dell’edilizia. Gli unici segnali positivi sono costituiti dalla riduzione della popolazione degli inattivi (28.000 unità in meno) e del precariato, grazie alla trasformazione dei contratti di formazione in rapporti a tempo indeterminato (+ 60% rispetto a giugno 2018).

L’attesa di risposte dal governo.

Chiunque andrà a ricoprire l’incarico di Ministro dell’Economia (al momento non è stato ancora chiarito se sarà un esponente dei gruppi politici di maggioranza, oppure ancora una volta la figura di un “tecnico”), si troverà un’agenda fitta di impegni di difficile soluzione e un ristretto margine di tempo per affrontarli. Anche se, come probabile, i vincoli posti dall’Unione Europea alla crescita del deficit saranno meno stretti che in passato, si dovrà procedere a una stretta di bilancio di almeno 12 miliardi rispetto alla manovra economica dell’anno precedente, e tutto ciò scongiurando – se possibile – il temuto aumento dell’Iva. Su questa difficilissima partita la crisi della produzione e dell’impiego non mancherà di avere pesanti ricadute: sono imminenti nuove chiusure di impianti (l’Ilva chiude ai primi di settembre) e la risoluzione dell’annosa vicenda di Alitalia.

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