Nei giorni scorsi il Parlamento europeo ha bocciato la direttiva sul diritto d’autore con 318 voti favorevoli e 278 contrari. La direttiva fu approvata lo scorso 20 settembre dalla Commissione giuridica, e la sua discussione è stata rimandata la prossimo settembre.
Da tempo si è avvertita l’esigenza di regolamentare le piattaforme online, su cui ogni giorno migliaia di utenti caricano contenuti: esse sono esonerate dal pagamento della licenza sulle opere intellettuali caricate degli utenti e non solo. Si devono considerare, infatti, anche quelle piattaforme online che forniscono contenuti informativi agli utenti, e che quotidianamente vengono visitate da molte persone.
Diritto d’autore, ecco cosa prevedono i contestati articoli 11 e 13.
Le maggiori difficoltà si sono avute in riguardo agli articoli 11, che riguarda il cosiddetto “link tax”, ovvero il compenso che spetta agli editori per lo sfruttamento di un contenuto digitale protetto da copyright, e l’articolo 13, che invece si riferisce alla regolamentazione, attraverso l’inserimento di alcuni filtri che riescono ad impedire la pubblicazione, della diffusione online di opere senza il consenso dell’autore.
La direttiva bocciata proponeva, per quanto riguarda la link tax, che gli utilizzatori di un’opera altrui ai fini commerciali, avrebbero dovuto anzitutto chiedere l’autorizzazione alla testata su cui è stato pubblicato il contenuto, e poi si sarebbe dovuta pagare una sorta di retribuzione. Gli editori hanno accolto con entusiasmo la proposta, in quanto la retribuzione prevista potrebbe contribuire ad arginare le perdite del settore, mentre invece sono stati decisamente contrarie le associazioni a tutela della libertà su internet, che vedono il compenso previsto come fortemente penalizzanti per tutte quelle piccole società di informazione, e contrari solo anche le mega società tra le quali, ad esempio, Google e Facebook.
Per quanto riguarda l’articolo 13, invece, esso voleva mirare ad introdurre filtri automatici per impedire che contenuti protetti venissero pubblicati con il solo scopo di rendere le visualizzazioni profittevoli attraverso i banner pubblicitari. A tal proposito si sono dichiarate favorevoli le case discografiche, in quanto i provvedimenti previsti sono stati ritenuti utili ad arginare la pirateria che si verifica su piattaforme di condivisione, dove viene versato un contributo per pubblicare il contenuto, ma questo appare del tutto irrisorio. Tuttavia, anche qui sono state espresse delle perplessità, in quanto non vi sarebbe più la stessa libertà per gli utenti.