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Corte Ue: un ospedale cattolico non può licenziare un medico risposato

La Corte di giustizia dell'Unione europea ha stabilito che un medico che lavora in un ospedale cattolico e che si sposa per la seconda volta non può essere licenziato.

Autore: Fiorella D'Auria
12 Settembre 2018
- Categoria: Diritto dell’Unione Europea, News
Corte Ue: un ospedale cattolico non può licenziare un medico risposato

Un medico che lavora in un ospedale cattolico e che si risposa, non può essere licenziato. A stabilirlo è, con sentenza, la Corte di giustizia dell’Unione europea, che si è espressa sul caso di un medico tedesco. Un primario cattolico del reparto di medicina interna di un ospedale gestito dall’Ir, una società tedesca soggetta a vigilanza dell’arcivescovo di Colonia, si era sposato con rito religioso, ma il matrimonio è naufragato e si è risolto con un divorzio. L’uomo ha poi deciso di risposarsi, ma stavolta con solo rito civile, in quanto non ha chiesto l’annullamento del precedente matrimonio alla Sacra Rota.

Quando la società Ir ha avuto notizia del nuovo matrimonio del primario, ha deciso di licenziarlo: il suo secondo matrimonio, avvenuto solo con rito civile e senza annullamento alla Sacra Rota del precedente, è nullo per il diritto canonico, e per questo il medico non ha rispettato gli obblighi derivanti dal suo contratto di lavoro.

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Il medico ha contestato il suo licenziamento, sostenendo che così si è venuto meno al principio di parità di trattamento (i medici di altra professione religiosa, infatti, come i protestanti o gli atei, possono contrarre un secondo matrimonio senza così venir meno ai vincoli contrattuali).

Un ospedale cattolico licenzia un primario dopo il suo secondo matrimonio: la sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea.

La Corte di giustizia dell’Unione europea ha dichiarato illegittimo il licenziamento del medico cattolico, in quanto si mette in atto, così, una discriminazione basata sulla religione in quanto, si legge nella sentenza C-68/17, il requisito di rispettare il vincolo sacro del matrimonio non costituisce un requisito professionale essenziale.

La decisione di una chiesa oppure di un’altra organizzazione fondata sull’etica religiosa, specifica la Corte nella sentenza,  di sottoporre i dipendenti a vincoli strettamente legati alla religione, deve esser oggetto di un controllo giurisdizionale effettivo: il giudice deve cioè verificare, considerando l’attività principale dell’organizzazione, se i requisiti religiosi costituiscano un un requisito professionale essenziale.

Le prestazioni lavorative del primario di medicina interna licenziato, secondo la Corte, sono di grande importanza e non appare dunque necessaria l’adesione ai vincoli sul matrimonio: questo vincolo, infatti, non appare requisito essenziale dell’attività professionale considerando anche che ci sono dipendenti che non professano la religione cattolica e che quindi non sono sottoposti alle stesse norme di comportamento conformi all’etica dell’Ir.

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Fiorella D'Auria

Fiorella D'Auria

Laureata in Consulenza Professionale per l'impresa, pone il suo interesse e la sua attenzione su tematiche aziendali e fallimentari. Ama l'arte (è appassionata fotografa), la letteratura, la musica, gli animali ed il mondo della moda.
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