Cassa Forense: legittimi i contributi minimi dovuti dagli avvocati!

Cassa Forense: legittimi i contributi minimi dovuti dagli avvocati!

Cassa Forense, legittimo il versamento dei contributi minimi. Continua la protesta degli avvocati nei confronti della Cassa forense a seguito dell’entrata in vigore del Regolamento del 2014, attuativo dei commi 8 e 9 della L. n. 247/2012, che ha imposto, per tutti gli avvocati iscritti all’albo professionale, l’iscrizione automatica anche alla Cassa, con “imposizione” del pagamento di un contributo minimo obbligatorio (slegato dal reddito), pena la cancellazione dall’albo professionale. Gli assicurati alla Cassa degli avvocati sono chiamati a versare, entro il 30 giugno, la terza rata dei contributi minimi, sia il soggettivo sia l’integrativo, per l’anno 2017 (rate di 740 e di 180 euro, salvo agevolazioni o esoneri). La recente sentenza del Tribunale di Roma, sezione Lavoro, n. 4805 del 22 maggio, avente ad oggetto la legittimità del contributo minimo obbligatorio soggettivo, imposto dalla Cassa Forense agli iscritti di qualsiasi età e in qualsiasi condizione reddituale, pena la cancellazione dall’albo professionale, ha rimarcato la legittimità di tali contributi. Vediamo nel merito le motivazioni.

Cassa Forense e contributi minimi, la sentenza n.4805 del 22 maggio 2017 del Tribunale di Roma, sezione Lavoro.

E’ legittima sia l’iscrizione obbligatoria alla Cassa forense per gli iscritti all’albo professionale, che un contributo minimo a carico degli stessi. Lo chiarisce il Tribunale di Roma, sezione lavoro, con sentenza 22 maggio 2017, n. 4805. Il Tribunale di Roma ha stabilito invece la legittimità del contributo, peraltro inscindibile dall’iscrizione automatica e obbligatoria alla Cassa per tutti i legali. Diverse – secondo il giudice – le ragioni che documentano la fondatezza dell’operato della Cassa forense: a) ad iniziare dalla Costituzione che impone (e garantisce) per qualsiasi tipo di attività lavorativa la copertura previdenziale per la vecchiaia, l’invalidità, i superstiti; b) al dettato costituzionale la riforma Dini ha poi aggiunto che ogni tipologia di redditi deve essere soggetta a contribuzione (Inps, Cassa ecc.); c) infine, sulla natura del contributo minimo, che non è assimilabile ad una imposizione tributaria, ma va considerato come “una prestazione patrimoniale” che ha lo scopo di contribuire agli oneri finanziari della previdenza dei lavoratori interessati.

La sentenza del Tribunale di Roma n. 4805 del 22 maggio 2017: le motivazioni.

Il Tribunale di Roma con la sentenza in questione conferma la legittimità sia della obbligatoria iscrizione alla cassa forense per tutti gli avvocati iscritti all’albo professionale, che la legittimità del contributo minimo a carico degli iscritti all’albo professionale. E ciò in quanto “le disposizioni costituzionali … impongono di ritenere che, nel nostro ordinamento, all’espletamento di attività latu sensu lavorativa, sia essa intellettuale o manuale, esercitata in forma autonoma o subordinata, dietro pagamento di corrispettivo, debba accompagnarsi la copertura previdenziale. E ciò per ragioni di tutela di posizioni indisponibili del singolo (tutela avverso la vecchiaia, la malattia, l’invalidità e per i superstiti) e, quindi, a prescindere se, poi, in concreto, al singolo potrà o meno essere erogata una qualche prestazione (ex art. 38 Cost.; cfr. Cass. n. 2939/2001)”. In particolare, dopo la L. n. 335/1995 (c.d. Riforma Dini) ogni emolumento percepito a qualsiasi titolo deve sottoposto alla contribuzione previdenziale e quindi, anche il compenso ridotto percepito dall’avvocato con basso reddito, va assoggettato a contribuzione: o alla Cassa forense oppure alla c.d. gestione separata Inps (con aliquota che si va sempre più avvicinando al 30%).

In ordine al fatto che la contribuzione minima obbligatoria non sia direttamente legata al reddito ed informata, quindi, al principio di progressività, la sentenza del Tribunale di Roma in questione sottolinea che la Corte costituzionale si è pronunciata sul principio di progressività ex art. 53 Cost., affermando che la contribuzione previdenziale non è assimilabile all’imposizione tributaria ma è da “considerare quale prestazione patrimoniale avente la finalità di contribuire agli oneri finanziari del regime previdenziale dei lavoratori interessati (cfr. Corte cost. nn. 173/1986, 349/195 e 202/2006)”. Non si può del resto ignorare che il contributo soggettivo ed integrativo adempiono alla funzione di precostituire i mezzi finanziari necessari al raggiungimento dei fini istituzionali della Cassa forense. E’ soltanto la corretta partecipazione degli iscritti, con il versamento della contribuzione, che consente alla cassa di raggiungere le sue finalità istituzionali; occorre ricordare che la Cassa forense, come anche le altre casse dei liberi professionisti, non riceve alcun contributo né dallo Stato né dalla collettività in generale (anzi è vietato per legge).

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