Assegno familiare, per la Consulta spetta anche agli extraeuropei

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I cittadini non europei, soggiornanti da lungo tempo e con permesso unico di lavoro, non possono essere trattati in modo diverso dai cittadini italiani nell’accedere al beneficio dell’assegno per il nucleo familiare, anche se alcuni congiunti risiedono temporaneamente nel Paese di origine. Come riporta il sito tgcom24.mediaset.it, quanto sopra è stato evidenziato dalla Consulta, precisando che la parità di trattamento fra i destinatari di questa provvidenza è garantita dai giudici, tenuti ad applicare il diritto europeo “architrave su cui poggia la comunità di corti nazionali, tenute insieme da convergenti diritti e obblighi”.

La decisione è contenuta nella sentenza numero 67– la cui redattrice è la vicepresidente Silvana Sciarra – con la quale la Corte costituzionale, dichiarando inammissibile le questione sollevata dalla Cassazione, afferma che il principio del primato del diritto dell’Unione costituisce appunto il punto chiave della comunità dell’Europa. Quel principio, valorizzato nei suoi “effetti propulsivi nei confronti dell’ordinamento interno”, non è alternativo, dice la sentenza, al sindacato accentrato di costituzionalità configurato dall’articolo 134 della Costituzione, “ma con esso confluisce nella costruzione di tutele sempre più integrate“.

In risposta a due rinvii pregiudiziali promossi dalla Cassazione, “la Corte di giustizia dell’Unione europea, rileva una nota di Palazzo della Consulta, aveva ritenuto non compatibile la disciplina italiana relativa all’assegno per il nucleo familiare con due direttive europee (2003/109 sui soggiornanti di lungo periodo e 2011/98 sul rilascio di permesso unico di lavoro). “Se è vero che sono i familiari a beneficiare dell’assegno – si precisa nelle pronunce della Corte di Lussemburgo, dice ancora il comunicato -, è altrettanto vero che l’assegno viene versato al lavoratore o pensionato, componente a sua volta del nucleo familiare”.

Non differenziare trattamenti!

L’obbligo di non differenziare il trattamento dei cittadini di paesi terzi regolarmente soggiornanti è imposto dalle direttive in modo chiaro, preciso e incondizionato, come tale dotato di effetto diretto”, rileva ancora la nota. Nella sentenza depositata, la Corte costituzionale osserva che la procedura pregiudiziale, oltre a rappresentare un canale di raccordo tra i giudici nazionali e la Corte di Lussemburgo per risolvere eventuali incertezze interpretative, concorre ad assicurare e rafforzare il primato del diritto dell’Unione, alla cui attuazione i giudici comuni partecipano secondo il meccanismo del controllo diffuso, “disapplicando all’occorrenza” qualsiasi disposizione del diritto nazionale contrastante con il diritto dell’Unione. E’ questo l’effetto utile dell’articolo 267 del Trattato su funzionamento dell’Unione europea.

La competenza esclusiva della Corte di giustizia nell’interpretazione e applicazione dei trattati, che la Corte costituzionale ha riconosciuto, anche recentemente, in sede di rinvio pregiudiziale, “comporta, in virtù del principio di effettività delle tutele, che le decisioni adottate sono vincolanti, innanzitutto nei confronti del giudice che ha disposto il rinvio”.

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