Affido condiviso non significa parità di tempo con i figli, ecco la sentenza

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La bigenitorialità non fa scattare il diritto per ciascun genitore a passare lo stesso tempo con il figlio. La Corte di cassazione (sentenza 31902), esclude che esista una proporzione matematica che garantisca sia al padre sia alla madre, separati , di trascorrere un pari numero di ore con i figli. I criterio da seguire è quello di assicurare una presenza significativa «nella vita del figlio nel reciproco interesse».

Nei giorni in cui il legislatore discute il Ddl Pillon, la Suprema corte invita a tenere presenti le reciproche “necessità” armonizzando l’esercizio del diritto «con le complessive esigenze di vita del figlio e dell’altro genitore». Non mancano le indicazioni per il giudice che, nell’affidamento dei minori, deve tenere conto, nell’esclusivo interesse morale e materiale della prole, «della capacità dei genitori di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione determinata dalla disgregazione dell’unione».

La sentenza che chiarisce che affido condiviso non significa parità di tempo con i figli

Una valutazione sulla quale pesano elementi concreti. Il modo in cui i genitori hanno svolto in precedenza i loro compiti, le rispettive capacità di relazione affettiva, attenzione, comprensione, educazione e disponibilità ad un assiduo rapporto. Nella sfera di attenzione rientra anche la personalità del genitore, le sue consuetudini di vita e l’ambiente sociale e familiare che è in grado di offrire al minore.

Fermo restando «in ogni caso il rispetto del principio della bigenitorialità, da intendersi quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio, idonea a garantirgli una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi, i quali hanno il dovere di cooperare nella sua assistenza, educazione ed istruzione».

Partendo da questi principi la Cassazione ha respinto il ricorso di un padre separato, in aperto conflitto con la ex moglie – presso la quale la minore era collocata in maniera prevalente – sia sul pernottamento settimanale, sia sul mantenimento.

I due erano in perenne disaccordo, a causa di una esasperata competitività, tanto da indurre la corte d’Appello ad affidare la minore al servizio sociale per prendere, sentiti i genitori le decisioni più importanti che la riguardavano: dalla scuola, all’attività sportiva. Mentre al padre e alla madre restavano le scelte sulla vita quotidiana. La Suprema corte prova a correggere la rotta con un “promemoria” sull’interesse del minore.

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